risorsa o pericolo?
Il principio base di una sana convivenza di gruppo è riassunto nella frase “la mia libertà finisce dove inizia quella di un altro”. Un principio semplice e lapidario che affronta la questione da una prospettiva quasi spaziale: ognuno di noi ha uno spazio di azione entro cui poter esprimere i propri desideri senza ricercare l’appagamento dei propri appetiti invadendo gli spazi altrui. Metaforicamente si può immaginare che ogni individuo viva entro confini che possono essere vistosamente marcati o appena tratteggiati a seconda della solidità del sistema di regole e punizioni. Le regole infatti evidenziano i limiti delle libertà individuali e le punizioni garantiscono l’effettiva funzionalità di queste regole.
Negli anni, all’interno dell’universo pedagogico, si è assistito ad un’interminabile disputa, che continua tuttora, circa il ruolo educativo delle regole nel processo di crescita dell’individuo. Secondo alcuni esponenti del movimento chiamato “pedagogia nera” la durezza della punizione è indispensabile al rispetto della regola, viceversa, esattamente all’opposto, posizioni più moderne vedono la punizione come un’inutile frustrazione a cui viene sottoposto il colpevole già castigato dal lacerante senso di colpa. Come sempre accade, poi, all’interno di argomentazioni contrapposte nascono cristallizzazioni su estremismi concettuali, tanto che oggi si è arrivati a bandire assolutamente le punizioni come inefficaci strumenti educativi.
Io credo che, come già i latini sostenevano, “in medio stat virtus” = “la virtù sta nel mezzo”: pene troppo severe possono gravare sull’entusiasmo del ragazzo, incrinando la relazione educativa e suscitando una difensiva reazione di repulsione e ribellione, che lo allontani dal percorso di maturazione condiviso, ma la totale negazione del sistema punitivo priva le regole della loro forza attuativa, togliendo consistenza a quei confini relazioni indispensabili per una società civile. Le regole devono essere comprese e non temute e accanto alla ripresa della deviazione deve esserci un re-indirizzamento verso il cammino socialmente stabilito, ma la costruzione della conoscenza umana passa attraverso un continuo processo di tentativi ed errori, dove le punizioni rappresentano le evidenze sociali del valore di determinati principi.
È evidente che nel mondo ideale non debbano esistere le punizioni, ma è altrettanto evidente che in un mondo ideale nessuno debba infrangere le regole. La svalutazione delle regole infatti comporterebbe la perdita del delicato sistema civile a favore di un dirompente ritorno allo stato di natura.
Dopo aver approfondito l’importanza delle punizioni come strumenti di valorizzazione delle regole all’interno di un sistema civile, passiamo ora a definire alcuni elementi che caratterizzano un buon uso delle punizioni:
Autorità
All’interno delle dinamiche del gruppo deve essere presente una persona a cui è stato attribuito dal contesto organizzativo un ruolo di responsabilità. Questa figura è solitamente l’allenatore a calcio o l’insegnante a scuola. L’autorità si riferisce ad un attributo tipico del ruolo, quindi di una posizione gerarchica all’interno dell’organizzazione, e non della persona. Tanto più il detentore dell’autorità può poggiare su un vasto consenso (dirigenti, responsabili, genitori, altri allenatori, altri insegnanti), tanto più il suo intervento disciplinare può essere incisivo.
Autorevolezza
Avere una posizione dominante (cosa) non basta, bisogna poi riempirla di qualità umane e relazionali (come). L’autorevolezza è quindi la capacità di creare un rapporto di fiducia con tutti i membri del gruppo che si è chiamati a gestire. A differenza dell’autorità, l’autorevolezza si riferisce ad un riconoscimento interno, personale, squisitamente relazionale. Parla del rapporto dell’allenatore e dell’insegnante con ogni singolo ragazzo e della tacita autorizzazione a diventare modello educativo.
Regole condivise
Come abbiamo visto le regole non sono altro che il contorno, più o meno marcato della figura di cittadino, inteso come membro della città-civiltà, che vogliamo costruire. E’ importante quindi interrogarsi, in ogni sistema relazionale, partendo dalla singola squadra o classe, fino ad arrivare ai vertici organizzativi, sul modello umano che si intende perseguire e definire poi, in un gioco figura-sfondo, i principi base della società. Le regole non saranno poi che logiche conseguenze di questo processo e le punizioni le loro alleate.
Proporzione tra regola e castigo
Ricordiamoci che un approccio educativo alla civiltà si basa sul rispetto delle regole e non sulla durezza delle punizioni: le punizioni sono funzionali alla valorizzazione delle regole, punendo infatti una deviazione stiamo dicendo “nella nostra visione dell’uomo quello che hai fatto è sbagliato e uso la punizione per ricordarlo a te e a tutti i tuoi compagni”. L’intento però non è quello di creare una paura preventiva, aumentando la durezza delle punizioni, né, d’altro canto di sminuire l’importanza di alcuni principi, perdonando sempre le mancanze, ma di suscitare una personale consapevolezza rimarcando il valore sociale del rispetto reciproco.
Equità
Ultimo, ma non per importanza, è il concetto di equità che potremmo descrivere meglio con la frase: “la giustizia è uguale per tutti”. Perché il sistema di regole e punizioni sia efficace non devono esistere distinzioni né favoritismi. Per quanto questo punto sia il più facile da comprendere e il più logico teoricamente, nella pratica ci si scontra spesso con le indicazioni societarie del “chiudere un occhio per questa volta”, quando il colpevole delle infrazioni è il giocatore più talentuoso del gruppo, che con poche giocate può risolvere una partita, o personali, quando si tratta dell’alunno più simpatico con cui si è creato, fin da subito un feeling spontaneo. Non c’è niente di più dannoso per il clima non solo relazionale, ma specialmente etico (delle regole), del gruppo, che vedere disparità nell’utilizzo della giustizia. Negando una giusta punizione stiamo esplicitamente affermando che le qualità umane che con tanta forza pubblicizziamo sono secondarie rispetto al talento calcistico o alla simpatia personale. Banalizzando si potrebbe dire “se hai i piedi e un bel sorriso non è importante che tu abbia testa o cuore”.
FABIO PANSERA
Sono uno scienziato un esploratore, un muratore e un carpentiere dell’animo umano, consapevole di non essere altro che una piccola comparsa nella storia di vita dei miei assistiti ma felice di poter assolvere con professionalità e passione alla missione che dall’inizio della mia carriera mi infiamma il cuore: “ridare voce allo straordinario che è in ognuno di noi”.